“Cordelia” fu una rivista per ragazze fondata da Angelo de Gubernatis nel 1881 e pubblicata irregolarmente fino al 1942. Prese il nome dalla gentile figlia del re Lear di Shakespeare. Nell’edizione del 1895 (pp. 11, 12), durante la direzione di Ida Baccini (1850-1911), un’ “amica dei piccoli”, come la definì Matilde Serao, ospitò un articolo di Emma Boghen Conigliani († 1956) su Pia dei Tolomei.
Le donne nella Divina Commedia giudicate da donne moderne
“Al quadro patetico e cupo che ha per isfondo la valle in tempesta e l’Archiano gonfio, travolgente il cadavere insanguinato di Buonconte da Montefeltro, succede un episodio in cui campeggia una delle più gentili creazioni di Dante, la Pia; episodio, la cui dolcezza si prova tanto maggiormente pel contrasto con le immagini che precedono.
Molte sono le donne ricordate nel poema e, per riverenza al sesso femminile, nell’Inferno stesso, sono quasi sempre soggetto di pietà, più che di errore.
Di parecchie è appena fatto cenno; così in rapida visione vediamo passarci dinanzi Semiramide, Elena per cui tanto reo tempo si volse; Elettra, Pentesilea; Didone che si ancise amorosa rompendo la fede giurata al cener di Sicheo; Camilla che morìo per quest’umile Italia; Lavinia, Lucrezia, Giulia, Marzia dagli occhi casti e Cornelia; vediamo la buona Gualdrada e Ghisola bella; Sapia invidiosa; Nella, la sposa gentile di Forese, che piange e prega per lui; Giovanna figlia di Nino di Gallura; Beatrice figlia di Obizzo II d’Este e vedova di Nino, dimentica del marito perduto; Beatrice di Brabante, le due Costanze, Cunizza da Romano, Matelda eccetera; le Sante più famose, come Santa Chiara e le antiche Ebree di cui alcune divengono simboli fulgenti nella luce del paradiso, quali Lia e Rachele. Ma tre sovra tutte son le donne di cui è viva l’immagine così da attrarre fortemente l’animo del lettore: Francesca, la Pia e Piccarda.
Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
E riposato della lunga via
…
ricorditi di me che son la Pia:
così, quando tace Buonconte, parla con voce gentile la Pia de’ Tolomei. Essa fu moglie del conte Paganello o Nello figlio d’Inghiramo de’ Pannocchieschi, signore del castello della Pietra a Levante di Massa Marittima. Secondo alcuni ella fu colpevole; secondo altri, innocente, fu sospettata rea; secondo altri ancora, fu vittima del malvagio sposo che stanco di lei, desiderava prendere in moglie Margherita Aldobrandeschi, vedova di Guido di Monfort; per ordine di lui la Pia fu morta: «Essendo ella alle finestre di un suo palagio sopra una valle in Maremma, messer Nello mandò un suo fante che la prese pe’ piedi di dietro et cacciolla a terra dalle finestre in quella valle profondissima, che mai di lei si seppe novelle».
La prima parola della Pia è una parola d’affetto, un augurio cortese; innanzi che parlar di sé, invoca a Dante il ritorno nel mondo e il riposo dopo il lungo viaggio. Ricorditi di me! Quanta dolcezza di preghiera, quanta mestizia di desiderio! Ella non ha alcuno cui essere rammentata, non ha alcuno che possa pregar per lei, ed a colui che le sta dinanzi, che parla la sua dolce lingua, che le fa pensare la patria dolcissima, e ch’ella ha visto pietoso e gentile, a colui si raccomanda: Ricorditi di me! Modesta e discreta, tace e ascolta, finché Jacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro parlano al Poeta, ed anche di poi non vuol trattenere questo a lungo, ma dice in brevi parole! Prega tu per me, o Toscano, che mi vedi qui salva, ma oppressa dai ricordi d’un tempo, mesta ancora della tristezza del carcere maremmano, tu che mi comprendi innocente, rendimi la mia fama, se laggiù mi si crede colpevole; tu ripensa qualche volta alla Pia:
Siena mi fe’ disfecemi Maremma:
Salsi colui che inanellata pria
Disposando, m’avea con la sua gemma.
Nacqui a Siena, morii in Maremma, narra la Pia; e la voce popolare interpretò il dantesco disfecemi Maremma: morii lentamente consunta dalla mal’aria; da ciò la nota leggenda che diede argomento alla novella poetica di Bartolomeo Sestini.
Nel far noto chi ella sia, la gentile donna rammenta la patria; ella pure è un’anima latina, e questo la renderà grata al Poeta, ella lo sa. Non racconta la sua vita, non narra la sua morte, non parla del suo dolore; il suo riserbo è pieno di delicatezza e di dignità; ma nelle sue parole, in una penombra poetica e piena di mistero, si intravedono le nozze, l’amore, la felicità, coll’immagine dell’anello nuziale; s’intravede la tempesta tragica della sua fine dopo questo sereno; s’intravede la figura del marito omicida, pel quale tuttavia le parole di lei suonano più che un rimprovero, un sospiro: alcuni interpretano l’ inanellata pria, come già sposa ad altri, ed intendono che Nello la sposasse in seconde nozze; ma costoro confondono la Pia de’ Tolomei con la Pia Guastelloni vedova di Baldo Tolomei”.
Nelle ultime righe Emma Boghen Conegliani fa riferimento a una polemica letteraria su Pia de’ Tolomei, involontariamente innescata nel 1859 da uno studio di successo di Gaetano Milanesi (Giornale storico degli archivi toscani) che trascrisse dei documenti senesi intorno a Pia dei Guastelloni maritata Tolomei e soprattutto il lungo testamento di Nello dei Pannocchieschi redatto nel febbraio 1321 con un codicillo del 1322.
Di questo testamento si sono serviti gli storici (anche oggi) per delineare le note figure dantesche. Nel 1865 lo fece pure Bartolommeo Aquarone nel saggio Dante in Siena ovvero accenni nella Divina Commedia a cose sanesi ...
Su Paganello o Nello, signore di Pietra, l’autore dice che “ ... era uno dei Pannocchieschi, i quali, presso a poco, vivevano tutti nello stesso modo: o di guerra, soldanto sé e la loro gente, o andando podestà in qualche città, o dandosi invece alle violenze e alle rapine per loro conto o per quello dell'imperatore”.
Fu podestà di Volterra nel 1279, militò per i senesi nel 1288 e, dopo la battaglia della Pieve del Toppo, pare che venisse via smettendo le sue mire ambiziose e si ritirasse a vivere nel castello di Pietra. Ma della sua vita individuale, dichiara Aquarone, “sappiamo nulla”. Quindi attinge per le notizie al testamento del 1321 e ricorda che Nello non ebbe figli maschi ma per la “bramosia di potere” avrebbe desiderato un erede legittimo. Nel testamento infatti ricorda un suo figlio avuto da donna Chiarina di Lucca e fa scrivere che se questi avesse voluto venire dalle parti delle sue terre, e avesse voluto confessare di essere suo figlio, lui, Nello, avrebbe provveduto per il suo vitto e vestito, per due cavalli o uno buono, e per le armi; e sarebbe stato tenuto anche a dargli un buon podere nel quale avrebbe potuto vivere in modo onorevole con un cavallo e le armi.
In quanto a Pia, Aquarone riprende il Milanesi e scrive che nacque da messer Buonincontro Guastelloni, che si sposò con messer Baldo di Ildebrandino dei Tolomei e che rimase vedova nel 1290 con due figli, Andrea e Balduccio. Di loro la madre assunse la tutela e l'amministrazione dei beni che nel 1294 interruppe per ignoti motivi. Forse, accenna l’autore, lo fece perché aveva sposato Nello e aveva rinunciato alla tutela sui figli. Forse ... ma va detto anche che nel testamento il Pannocchieschi non lasciò ricordo alcun ricordo di Pia ma solo di una Nera sua prima moglie e poi di Bartola figlia di Bardo di Cante della Tosa da Firenze seconda attuale legittima moglie. Fece pure menzione di sue tre figlie: Francesca sposata a Emanuele dei conti d'Elci, Fresca, moglie di Bindino da Stecciano e Bianca ragazza di casa. Bianca fu figlia di Bartola, Francesca forse di Nera, e Fresca, un po’ snobbata dal padre, concordano gli autori, fu probabilmente figlia di Pia dei Tolomei. Nel 1321 infatti Fresca era detta madre di quattro figli, Neri, Barnaba, Francesca e Pia e su quest’ultima scrive Aquarone: “Chi avrebbe osato nella discendenza del Pannocchieschi continuare nei propri figlioli quel nome di Pia se non la figliola della Pia stessa?” Domanda legittima e considerazione valida ... solo che non tornano le date e la figlia adulta di Pia con suoi figli nel 1321 non poteva essere nata da un matrimonio semi-segreto del 1294 ... A meno che il matrimonio avesse sanato una situazione di illegittimità pregressa, cioè fosse stato in essere già da molto tempo. Alcuni autori infatti daterebbero la nascita di Fresca a circa il 1280 ...
Sul finire delle pagine dedicate a Pia, Aquarone lascia i Tolomei e i Pannocchieschi storici e ritorna alla visione d’amore del Poeta:
“E basti per la memoria di quella infelice trovata da Dante ove l'umano spirito si purga.
Certo, la Pia, in que’ bei versi mostrasi riverente e pur quasi amorosa rispetto a colui che la uccise. E se fu già da altri osservato, che Dante non fa parlar di amor se non le donne – ed è vero – quando la donna parla di amore, anche in Inferno, sa dirne cose ineffabili da noi uomini e nelle parole della Francesca:
Se fosse amico il Re dell'universo
Noi pregheremmo lui per la tua pace (Inf. V, 91-92)
quel noi pregheremmo, a controsenso in una dannata, suona potente sul cuore; e ricorda le parole di altra donna, non dannata – Santa Santa Teresa di Spagna: «Se Satana potesse amare, cesserebbe di essere cattivo»”.
Segnalo una notizia che mi sembra inedita (a quel che ho potuto vedere): nel settembre 1293 Nello Pannocchieschi fu capitano del popolo della repubblica di Lucca, della quale nel 1313 sarebbe stato anche podestà. Sorge pertanto una domanda: fu forse il 1293 la data in cui conobbe Chiarina ed ebbe il desiderato figlio maschio, quello che nel testamento del 1321 invitò a presentarsi nelle sue terre e a confessare di esserlo per ottenere i privilegi che gli spettavano ...?
Paola Ircani Menichini, 7 novembre 2025. Tutti i diritti riservati.
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